Che barca il “Surprise”! Un 11 metri in legno del 1968 (progetto di John Holden Illingworth, costruito a Castiglione della Pescaia da Niccolò Puccinelli). Surprise, una barca che chiami per nome, con il suo profumo di cedro, diventa così la compagna di vita di Ambrogio, la sua Mater, colei che permette la vita nonostante i chilometri di acqua sotto la carena e i chilometri di cielo sulla testa. Uno sloop dalle linee classiche a dimensione d’uomo, a dimostrazione che non è la barca che fa il marinaio.
E che marinaio Ambrogio Fogar, assicuratore in una grigia Milano degli anni 70 sognava orizzonti e avventure. Ma non le sognò soltanto, le vide. Tra volo acrobatico, paracadutismo, maratone estreme e altre “amenità” del genere, riuscì a mettere alla prova la sua tenacia e la sua sete di “no limits” che sono state un punto di riferimento per tutti gli esperti di sport estremi di oggi (e senza Red Bull …)
Nel 1974 fu il primo italiano a compiere il giro del mondo a vela da est a ovest, esattamente al contrario, impiegandoci 400 giorni. “In direzione ostinata e contraria”. Al suo rientro l’Italia tifava per lui. Divenne un simbolo, i primi albori di una passione nostrana per la vela che avrebbe visto poi il suo clou con Azzurra prima e poi con Luna Rossa. Fu proprio in quel rientro che in maniera definitiva Fogar comprese per quale scopo era venuto al mondo.
Io, a quell’epoca ragazzetto sognatore, divoravo le sue avventure e ho letto con passione la sua storia di navigazione narrata nel best seller: “400 giorni intorno al mondo”.
Ma le sue avventure erano lungi dall’essere finite. Il destino lo aspettava al varco. Nel 1978 Fogar fu ancora protagonista di una nuova impresa . La circumnavigazione del polo sud. Questa volta, insieme a lui, un amico di vecchia data, Mauro Mancini che accettò la sfida per documentarla e poterla raccontare. Non è mica roba di tutti i giorni.
Ecco uno stralcio della giornata più sfortunata di quella che è diventata una storia triste, drammatica.
"Eravamo a 4 giorni di vela da Rio de la Plata quando un branco di orche o balene ci ha attaccato affondando il Surprise in quattro minuti. Ci siamo gettati sul battello di gomma e sulla zattera autogonfiabile con pochissima roba da mangiare. Era la mattina di giovedì 19 gennaio (1978) e adesso sono 3 settimane che stiamo vagando per l’oceano senza che nessuno abbia potuto e saputo cercarci".
I due amici, compagni di avventura ma anche di sventura trascorrono in mare 74 giorni. Al momento dell’affondamento (rapidissimo, quattro minuti, provate a calcolare anche voi) non riescono a portare a bordo quasi niente, solo della pancetta e dello zucchero. E 74 giorni sono due mesi e mezzo. Acqua piovana e qualche fortunosa tellina che si attaccava al fondo della zattera sono state il resto delle loro scorte di sopravvivenza oltre a due cormorani uccisi a colpi di remo. Qualche pesciolino pescato con le mani ha poi completato la loro dieta. Una dieta feroce che riduce i due amici a pelle ed ossa. Perderanno 40 kg ciascuno.
Nonostante la debolezza, gonfiarono più volte la zattera a fiato, quando era giù di pressione, e anche se la precaria situazione diventava disperata, i due istituirono “l’ora del parlare” durante la quale si obbligarono a mantenere lucidità e contatto nonostante lo stato catatonico.
I dettagli di questa storia li potete trovare ovunque in rete ma io vi invito ad andare al museo del mare di Genova (MUMa Galata, sala Tempesta) nel quale è esposta la zattera di tipo Avon4 in dotazione al Surprise oltre ad una serie di lettere scritte dai due. Una visita da brividi …
Il finale di questa storia è noto ed è tristissimo oltre che beffardo.
Un mercantile greco, il Santo Stefano, in acque sudamericane recupera i due naufraghi e la loro zattera. È il 2 aprile 1978. Salvi? Purtroppo no. Mancini, l’amico di avventura, stremato dall’inedia si becca una polmonite e muore a bordo della nave.
Polemiche a parte (i giornali ci hanno sguazzato con Fogar) il destino aspettava anche Ambrogio qualche anno più tardi.
Dopo tv, documentari, giornali, best sellers, e lasciato il mare, Fogar si cimenta in una nuova avventura, il rally.
Purtroppo il 12 settembre 1992 nel raid Parigi-Pechino rimane vittima di un incidente e rimane completamente paralizzato sino alla sua morte per infarto, nell’agosto del 2005.
Colpito nella sua parte più viva. Il movimento.
Cosa ci lasciano Fogar e Mancini? Sicuramente la voglia di scoprire e quella di non arrendersi neanche di fronte all’estremo. Solo nella ricerca dei propri limiti vi è crescita personale.
"Un'esperienza che può servire anche a chi non naufragherà mai. Ciò che conta è la volontà di vivere, di non arrendersi e continuare. Siamo tutti su una zattera", scriveva ancora Mancini nelle sue memorie.
Marco Scanu, diplomato al nautico, conduttore imbarcazioni, si occupa di comunicazione soprattutto in campo nautico.