Sicuramente molti di voi avranno visto i film di Fantozzi che, non avendo la benché minima conoscenza della nautica, una volta invitato a bordo dal suo perfido direttore galattico, accompagnato dal fido rag. Filini, si lasciava andare a esilaranti episodi e situazioni nelle quali l’ignoranza era regina.
Ma, film a parte, una cosa è ridere seduti in poltrona, un’altra è trovarsi in situazioni comuni a chi va per mare, senza capire cosa fare o cosa toccare.
Ogni cosa ha un nome e un nome per ogni cosa è valido ovunque, ma soprattutto in barca, dove la precisione di ogni manovra è dettata anche dalla comprensione dei termini.
Ed è vero che a vela le cose si complicano perché a vela la navigazione è cosa seria, ma anche chi va a motore ha necessità di discorrere con il suo equipaggio (in genere la moglie o il figlio o qualche amico) e soprattutto di farsi capire senza interpretazioni.
Ecco quindi un breve elenco minimo per tutti.
L’ossatura principale di uno scafo è formata in linea di massima dalle ordinate (costole) dalla chiglia (asse longitudinale dello scafo) dai madieri, dai bagli (strutture trasversali che chiudono le ordinate e sostengono la coperta o ponte principale. Spesso nelle schede delle barche leggete impropriamente “baglio massimo” inteso come larghezza massima della barca.
La carena è la parte immersa di uno scafo. La stessa parte viene anche chiamata opera viva in antitesi all’opera morta che sta sopra il galleggiamento. Tra la linea di galleggiamento e la coperta (che copre lo scafo) c’è la murata. Il bordo di giunzione è detto trincarino al quale viene fissato un profilo di alluminio chiamato falchetta.
Non esiste il volante ma il timone così come non vi sono né pali né legni ma alberi e per quello che riguarda il cordame, se andate a motore utilizzerete solo cime d’ormeggio o di ancoraggio o cimette di vario tipo, mentre se andate a vela avrete le stesse cime più le scotte che servono a bordare (cazzare, tirare) le vele, le drizze che servono a issarle (tirarle su... oh issa) ognuna in genere di materiale e colore diverso per non confonderci nel groviglio.
Per tutti esistono i mezzi marinai o gaffa o gancio d’accosto (assomiglia ad un arpione d’altri tempi).
L’accostata è uno spostamento della barca verso dritta o verso sinistra, una virata (solo a vela) è un cambio di mure, cioè il lato dal quale si prende il vento. Non c’è la “prima” ma un invertitore con avanti e indietro. Non esiste “legare la barca” (non è il cavallo anche se il nodo è lo stesso) ma ormeggiare e si può ormeggiare di poppa (con la parte posteriore in banchina) o di prua (viceversa) o di lato (all’inglese).
I nodi poi bisogna impararli. Con la gassa d’amante il savoia e il parlato potete girare il mondo, ma dovete saperli fare ad occhi chiusi.
Per ormeggiare la barca, dopo aver messo in posizione i parabordi, occorre fissare le cime sulle bitte o sugli anelli del pontile. In barca invece avremo le gallocce NON le bitte. Se siamo in porto, a prua fisseremo la nostra trappa (non drappa) recuperata col mezzo marinaio collegata al corpo morto sul fondale. Se siamo in baia, daremo fondo con l’ancora e ci metteremo alla ruota (in grado di ruotare secondo il disporsi del vento).
Attenzione che ogni barca brandeggia (reagisce al vento e alla corrente) a modo suo e quindi non ruoteremo tutti assieme.
Sopravento è il lato della barca da dove viene il vento, sottovento è quello opposto (dove fare pipì o vomitare).
Il mascone è quella parte robusta della barca tra la prua e il traverso diciamo a 45 gradi dall’asse longitudinale o trasversale dove prendere le onde. Onde troppo di prua provocano un beccheggio a volte violento per le strutture o dannoso per i fuori giri delle eliche che escono di continuo dall’acqua. Al traverso le onde creano un fastidioso rollio che mina la nostra stabilità e di conseguenza un buon compromesso tra le due andature ci risparmierà danni e lividi.
In andatura non diremo “vai dritto” ma “alla via” oppure accostare invece di “girare”.
In banchina si sente proprio di tutto, ma non mi sono ancora abituato ad ascoltare armatori che sciorinano con dimestichezza i “piedi” di lunghezza della propria o altrui barca ma poi dicono “guidare” oppure “punta” invece di prua ecc...
Siamo in Italia, quindi le barche le possiamo tranquillamente misurare in metri e centimetri, lasciamo i piedi agli inglesi e padroneggiamo un buon vocabolario marino. Quello sì che fa la differenza.
Marco Scanu, diplomato al nautico, conduttore imbarcazioni, si occupa di comunicazione soprattutto in campo nautico.