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Il Teak: il legno eccellente

 

La cantieristica navale in occidente ha sempre cercato i migliori materiali adatti all’uso nautico. Si è passati alla rassegna di tutte le essenze europee, alcune delle quali ottime.  Così, dalle ossature in castagno, larice, olivo, quercia e rovere e dai fasciami e alberature in legni di abete, spruce, pino e douglas, tutte essenze europee, col tempo si è passati all’utilizzo di mogani ma soprattutto di teck. 

Infatti il legno di teck, un tipo di magnolia gigantesca, ha delle caratteristiche che lo rendono il migliore per la costruzione (non solo nautica)

Le caratteristiche del teck sono uniche nel suo genere. È un legno durissimo, ma facilmente lavorabile, adatto anche per la costruzione di fortini (resiste alle cannonate) ed è inattaccabile dai parassiti. Per chiudere in bellezza, la stessa resina oleosa che lo protegge dalle termiti e dai parassiti, lo rende anche eternamente impermeabile all’acqua. Inoltre ha frutti e fiori commestibili e dolci. È un albero alto fino a 30 metri con diametri che possono arrivare a 2 metri  e costituisce una risorsa incredibile per le popolazioni locali. Le sue foglie sono larghe sino a 60 centimetri ed esistono anche usi medicinali di questa pianta, insomma, non si butta niente.

Ha un peso specifico molto alto, galleggia a pelo d’acqua, ma questo non ne mina le caratteristiche meccaniche e fisiche.

Da dove viene e come viene coltivato? In base all’origine si presenterà con un colore e una consistenza diversa. 

1- Il teck naturale da foresta, segato (Birmania, India, Thailandia).
2- Il teck naturale da foresta “morto in piedi” e poi segato. Vengono recise le vie di alimentazione della pianta con un taglio ad anello nella corteccia, operazione che, unita allo “svuotamento” provocato dalle foglie, accelera il processo di alleggerimento e morte dell’albero.
3- Il teck da piantagione: Costa  d’avorio, Tanzania, Nigeria, Camerun, Togo, Benin.
4- Il teck di recupero da demolizioni.
5- Va da sé che il teck naturale ha una colorazione e una ricchezza di olio uniche nel suo genere ma la deforestazione del nostro ambiente è un’urgenza dalla quale non possiamo sottrarci.

“L'alburno del teak è chiaro, mentre il durame è bruno-dorato, con venature verdastre, a volte nere e grigie. Al tatto ed alla vista appare oleoso e con un caratteristico odore di cuoio vecchio. Contiene un'apprezzabile percentuale di silice ed è refrattario all'impregnazione, anche in autoclave.

La sua essiccazione all'aria è un processo piuttosto semplice, particolarmente per i fusti ai quali è stata praticata "l'anellatura di base". L'operazione, che viene effettuata ogniqualvolta si vogliano rendere i tronchi più galleggianti per farli fluitare facilmente, consiste nell'asportare un anello di corteccia in prossimità della base dell'albero per provocarne la morte in piedi. L'alimentazione risulta così interrotta avendo tagliato i canali principali di ascesa. Probabilmente l'effetto combinato di uno "svuotamento" del fusto, per gravità unito al consumo da parte delle foglie di ciò che rimane ancora a loro disposizione rende possibile una certa "pulizia" del tronco, che si libererà da molte sostanze coloranti assumendo, all'atto della segagione, un aspetto cromatico meno variegato.” (Wikipedia)

Non è raro infatti vedere coperte di teck di colore diverso, alcune tendono al giallino, soprattutto se nuove, alcune hanno note bronzee / verdastre, altre (quelle vecchie, non trattate) grigio cenere.

La manutenzione del teck non è difficile, richiede però costanza e un po’ di sforzo, soprattutto se non siete stati costanti negli anni precedenti.
Avrete senz’altro visto qualche film dove la ciurma, sotto le grida del comandante, strofinava i ponti dei velieri con spazzola e acqua di mare. Sicuramente un efficace metodo per pulire ma da non imitare in quanto i nostri inserti di legno oggi sono solo decorativi come dicevamo e spessi non più di qualche millimetro contro i 4 o 5 centimetri delle tavole di allora.

Il lavaggio va effettuato nel seguente modo:

1- Non usare idropulitrice o altri mezzi a pressione.
2- Usare solo acqua dolce per tutto il lavaggio unita ad una spazzola o spazzolone morbido da      passare trasversalmente alla venatura per non creare solchi.
3- Alcuni usano dopo il lavaggio, bagnare con acqua di mare le fibre nuove in maniera tale da rallentarne l’essicazione che come è noto scurisce la fibra.

In alternativa, la chimica ci viene incontro con una serie di prodotti specifici per il teck. Basta solo seguire le istruzioni per avere risultati eccellenti a dispetto comunque di una buona dose di fatica. Pulire una coperta non è una passeggiata in termini fisici ma i risultati sono fonte di grandi soddisfazioni.    

 

Marco Scanu, diplomato al nautico, conduttore imbarcazioni, si occupa di comunicazione soprattutto in campo nautico.



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