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Come Nasce una Barca in Vetroresina - Parte 1

Spesso sentiamo discorsi che riguardano l’osmosi, la delaminazione, resina poliestere o epossidica, gel coat, stampi ecc... ma, a meno che non siamo in un cantiere o abbiamo a che fare con un intenditore, difficilmente potremo avere le idee chiare. Vediamo allora tutti i passi che separano la matita del progettista dal varo.

Il progetto

Un buon progetto si vede quando la barca è in mare, come si comporta alle varie sollecitazioni, come risponde, quanto consuma, che onda alza e, se è a vela, quanto stringe il vento e così via. È vero che oggi esistono tanti programmi di progettazione che simulano ogni evenienza, compresa la vasca prove dove viene messo in acqua un modello perfettamente in scala e sottoposto a diverse sollecitazioni. Non esiste una barca perfetta, esistono una serie di compromessi da rispettare. Un barca a vela che bolina bene, avrà forme molto stellate ma sarà scarsa con  andature portanti e così via. Il progetto poi sarà indirizzato verso un armatore unico (one off) oppure verso una produzione in serie.

Per i progetti in serie viene realizzato uno stampo

Per la realizzazione dello stampo dal quale usciranno centinaia di manufatti servirà realizzare un modello della barca con materiali a perdere (legno, gesso, vetroresina, truciolati e tranciati, poliuretano ecc...) Il modello (maschio) finito avrà dimensioni e forme della barca che si vuole realizzare e avrà ovviamente, peso e materiali diversi per poi finire in discarica.

Una volta realizzato il modello, si inizierà a stratificare con gel coat e, a seguire molte mani di resina e fibra di vetro. Si farà attenzione a stratificare carena e coperta con due o più stampi separati per agevolare il distacco successivo.
Durante la stratificazione, saranno inseriti nello stesso dei rinforzi in scatolato metallico, legno duro ecc... alfine di avere uno stampo resistente alle flessioni e alle compressioni che subirà nelle lavorazioni successive.
Una volta scollati i due stampi della coperta e dello scafo, se il modello è perfetto, liscio, lucido ecc... avremo pronte le stampate (femmine) per la produzione dei manufatti. Se invece, come spesso accade, il modello (maschio) non è perfetto, andrà perfezionato lo stampo con lavorazioni lunghe e costose. Ecco perché è meglio lavorare sul modello in maniera accurata. Oggi poi con le macchine a controllo numerico  e la progettazione in 3D è relativamente semplice produrre un primo modello senza difetti.
Il gel coat usato per lo stampo in genere è più duro (caricato con microsfere di vetro e colorato scuro) per resistere alla serie di distacchi successivi.

Una volta che gli stampi (non sono quasi mai solo due) sono asciutti, puliti e lucidati con una cera distaccante, si può procedere alla stratificazione del primo scafo.
Si spruzza il gel coat che risulterà alla fine l’ultima mano dello scafo, quella a vista che dà il colore (quando previsto) e che protegge la stratificazione dall’umido e dal sole. Una volta asciugato bene il gel coat avrà un aspetto a buccia d’arancia per via della sua densità (infatti è indicato anche per superfici verticali perché non cola per via della sua proprietà tissotropica).

Una volta coperto bene lo stampo con particolare attenzione agli angoli e alle parti che avranno più usura, si procede con la stratificazione.
Si inzuppano delle stuoie di fibra di vetro con resina in genere poliestere (la più economica) se no la vinilestere, oppure la resina epossidica (molto cara non viene usata quasi mai nella produzione di serie).

Le stratificazioni seguiranno gli spessori previsti dal progetto, le grammature delle stuoie e dei feltroni di vetro anche e, se sono previsti rinforzi, longheroni, contro piastre per avvitamenti attrezzature, ora è il momento di realizzarle.

Una volta terminata la stratificazione, non rimane che attendere la perfetta essiccatura.

Tenete presente che sia il gel coat (a base di resine poliestere additivato con pigmenti ecc ..) e le resine, in presenza di umidità non asciugano mai completamente nel loro microstrato superficiale.  Ragione per cui la superficie sarà sempre appiccicosa e renderà impossibile una scartavetratura. Che fare? I cantieri lo sanno bene e, nell’ultima mano di resina, quella che rimane a contatto con l’aria, arricchiscono la miscela poliestere con della paraffina che, dissolvendosi, si spande in superficie (come olio sull’acqua) e la impermeabilizza dall’umidità ambientale.

Ora il manufatto è pronto ad essere scollato. Normalmente l’operazione si effettua con l’aria compressa soffiata tra stampo e stratificazioni. Un paio di martellate (di gomma) negli inevitabili angoli capricciosi e il gioco è fatto. Avremo le nostre belle stampate lucide e perfette quanto era perfetto lo stampo.

Lo stampo è traditore... ti rivelerà anche un capello dell’operaio... ma se si è abbondato con il gel coat, basterà un po’ di levigatrice per eliminare le impurità.

Marco Scanu, diplomato al nautico, conduttore imbarcazioni, si occupa di comunicazione soprattutto in campo nautico.



  • Pubblicato il
  • 06/03/2024

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